introduzione ai principi e valori della zootecnia biologica

Uomo, natura, agricoltura

Lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie del secolo scorso ha notevolmente influenzato, specialmente nella cultura occidentale, il rapporto tra uomo e natura.

Una sempre più approfondita conoscenza “scientifica” permette di ottimizzare lo sfruttamento delle risorse naturali e, di conseguenza, di soddisfare bisogni primari (alimentazione, benessere) di un sempre più ampio numero di persone, in meno spazio e con meno lavoro.

Lo scopo per il quale l’uomo alleva da diversi millenni animali di varie specie è essenzialmente quello di ricavarne un utile: prodotti, lavoro, compagnia ed affettività, ricerca. Oggi, in una logica di mercato libero, l’allevatore deve sostanzialmente ricavare un utile economico puntando sulla vendita del prodotto animale (principalmente latte, carne, uova) o di animali stessi.

L’attività umana ha fortemente influenzato il paesaggio, nel tempo più uniforme e efficiente per l’uso agricolo. Il consolidamento di piccoli pezzi di terreno, la regolamentazione dei corsi d’acqua, la pulizia dei terreni non coltivati, l’installazione di sistemi di drenaggio hanno contribuito alla diminuzione di una varietà di nicchie ecologiche. L’uso diffuso di erbicidi ha portato ad una ulteriore uniformità. Industrializzazione e urbanizzazione mantengono l’uomo lontano dalle scomodità offerte dalla natura stessa, spesso inospitale e violenta. Nelle città, nei grandi paesi, nelle sempre più fiorenti zone industriali asfalto e cemento proteggono l’uomo dal “fango” e dagli animali selvatici, flora e fauna abilmente selezionate rivestono un ruolo slegato dalla produzione, il verde è per lo più ornamentale o di pubblico svago (giardini, parchi etc.), mentre i prodotti sono disponibili nelle varie forme di distribuzione del sistema agro-industriale, completamente slegate dal loro contesto produttivo. L’evoluzione del secondario prima e del terziario poi, con tutte le conseguenze sull’apertura dei mercati e dei trasporti, ha provocato un distacco significativo tra il settore primario e l’utilizzatore dei suoi prodotti e servizi. Ciò ha comportato il non riconoscimento del ruolo attuale di questo comparto da parte di una rilevante porzione della popolazione e in particolare da quella cittadina .

Questa carenza è attribuibile principalmente ad un approccio che è sempre stato visto in modo unidirezionale dalla città verso la campagna ponendo il cittadino come “visitatore” e fruitore di un ambiente non suo e in cui non si sente partecipe. I concetti di multifunzionalità dell’agricoltura sono stati spesso interpretati come aspetti di polifunzionalità, cioè di funzioni diverse ma non integrate, portando a risultati interessanti dal punto di vista dei redditi, ma fallendo nel recupero dei valori di ruralità nella cultura della popolazione. In questo quadro, il settore agricolo pur percependo le indicazioni che arrivano sia dal mercato, sia dalle nuove regole comunitarie non dispone di strumenti adeguati e di indicazioni tecniche validate per una introduzione degli aspetti di salvaguardia ambientale che coinvolgano l’attività produttiva in modo integrato .

Animali come macchine da produzione

Il ruolo degli animali è cambiato di conseguenza. A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo alcune produzioni animali si sono orientate verso sistemi di allevamento senza terra. La trazione meccanica ha portato alla fine del ruolo ausiliario di bovini e cavalli come animali da tiro, alla duplice o triplice attitudine; la selezione genetica si è orientata così verso la nascita e l’introduzione di razze altamente specializzate per specifici scopi di produzione come la vacca da latte Frisona e gli ibridi commerciali di polli e maiali, riducendo drasticamente le razze locali naturalmente più adattate all’ambiente, ormai a rischio di estinzione (Varzese, Ottonese etc.). L’alta produttività degli animali è stata ottenuta tenendo gli animali in un ambiente sempre più artificiale e completamente controllato: accesso assicurato al cibo, razione più bilanciata e migliore conoscenza del valore nutrizionale degli alimenti e della salute animale, associati al metodo di allevamento intensivo; anche un certo grado di sofferenza animale è stato accettato come parte integrante del sistema economico. Altri interventi riguardano l’inseminazione artificiale, alterazioni morfologiche (bovini e tacchini da carne con iperplasia muscolare), terapie preventive di routine, uso di probiotici e antibiotici, mutilazioni.

Fin dagli anni ‘50 la separazione fra allevamento animale e specifici ambienti agrari si è accentuata ulteriormente con la separazione dell’alimentazione degli animali dalla produzione degli stessi alimenti. In Europa si è costituita una industria mangimistica in grado di fornire l’alimentazione necessaria agli allevatori, non più preoccupati quindi delle limitazioni legate al contesto ambientale con limitata capacità di carico. Alla fine del XXI secolo l’agricoltura è entrata nella sua fase attuale parzialmente industrializzata in cui l’interdipendenza tra piante ed animali all’interno del proprio territorio colturale ha perso la sua importanza. La disponibilità di energia a basso costo e l’introduzione di fertilizzanti ed erbicidi di sintesi sono state importanti ragioni del cambiamento verso una agricoltura senza animali ed hanno permesso l’aumento del consumo di carne in occidente. I fertilizzanti artificiali hanno portato alla diminuzione dell’importante funzione ecologica del letame ed il trasporto a basso costo ha reso possibile che gli animali venissero alimentati indipendentemente dal ciclo produttivo dell’azienda; con l’aiuto di moderni macchinari molti pascoli sono stati trasformati in terreno coltivabile e gli animali domestici ridotti alla stregua di macchine da produzione.

La buona pratica agricola

Oggi questo convenzionale modo di produrre è stato messo fortemente sotto accusa in trattati internazionali, quali ad esempio il protocollo di Kyoto sulla salvaguardia ambientale, dove spesso si cita il concetto di sostenibilità ambientale come fondamento del futuro agro-sistema; nuovi metodi di produzione cosiddetti alternativi, che in genere passano sotto il nome di “buona pratica agricola” o “biologici”, più rispettosi degli equilibri naturali e dell’ambiente con i quali ci si prefigge di ottenere alimenti più naturali e di maggiore salubrità, stanno acquisendo un’importanza sempre maggiore.

Tali considerazioni portano a ritenere di rilevante interesse lo studio dell’attuale mercato, domanda ed offerta, dei prodotti biologici zootecnici e la valutazione delle prospettive di un’espansione di tale segmento produttivo, vale a dire un’analisi di fattibilità della conversione aziendale, e di una crescita dei consumi biologici, sia in senso di numerosità sia in senso di quantità delle referenze biologiche e dei canali di distribuzione.

Biologico e biodinamico

Nei decenni passati in Europa l’allevamento ha avuto un ruolo primario nella crescita dell’agricoltura biologica. Questa non si limita ad essere un settore produttivo di nicchia, basato su un disciplinare che conferisce ai prodotti un particolare marchio ma, più di questo è un concetto con una sua storia, costruito su una base di valori coerenti. Gli standard sono stabiliti in modo che questi valori si concretizzino nei metodi pratici dell’agricoltura e di conseguenza dei prodotti. Alle idee su cui è basata l’agricoltura biologica si può risalire seguendo diverse linee. Durante la prima metà del ventesimo secolo, molti pionieri di differente estrazione (coltivatori, ricercatori e medici) iniziarono a sviluppare metodi di coltivazione biologica basati sull’idea che terreni sani siano la chiave per produrre raccolti sani e così aiutare a migliorare la salute umana. La zootecnia in questo periodo aveva un ruolo fondamentale come miglioratore della vicina produzione vegetale grazie alla produzione del letame, ancora oggi definito fertilizzante di indiscutibile alto valore agronomico che se ben preparato più completamente esplica tutte le funzioni positive della sostanza organica. A meno di casi particolari come l’agricoltura biologica, la moderna agricoltura considera il letame (quando ancora lo si produce) un semplice sottoprodotto aziendale. Inoltre i ruminanti avevano la funzione di digerire le leguminose da foraggio al fine di consentire una equilibrata rotazione del raccolto che ‘costruisse’ la fertilità del terreno. Nel 1924 Rudolf Steiner in un corso sull’agricoltura sviluppò il concetto di allevamento biodinamico: egli considerava gli animali d’allevamento come esseri spirituali e affermava che gli esseri umani devono loro molto rispetto e considerazione. Nel suo corso Steiner accennò che alimentando i ruminanti con carne della loro stessa specie avrebbe causato sintomi simili alla encefalopatia spongiforme bovina dei giorni nostri. In sostanza, secondo la visione biodinamica, l’agricoltura e gli allevamenti intensivi sono la diretta conseguenza di una crescente atomizzazione del complesso sistema agricolo, che deriva dalla totale inosservanza delle sue leggi intrinseche. Il metodo biodinamico, invece, si fonda sull’osservazione scrupolosa delle leggi del vivente e su di una visione che attribuisce carattere prioritario alla dimensione animico-spirituale dell’azienda agricola: l’azienda stessa è concepita come un organismo (sistema) nel quale operano armonicamente diversi altri organismi (componenti) i quali, pur avendo funzioni differenti, nel loro insieme nutrono e vivificano il sistema stesso rendendolo vitale e produttivo. L’agricoltore ha un ruolo di grande responsabilità in seno all’azienda, in quanto principio spirituale che ordina e organizza tutta l’attività del sistema. La sua azione deve fondarsi sulla conoscenza di tutti i presupposti dell’organismo aziendale (il clima, le precipitazioni annuali, l’esposizione al sole, il terreno, la popolazione locale, ecc.), sull’osservazione quotidiana dell’interazione tra tutti gli esseri viventi presenti e sulla considerazione dello stretto dialogo che esiste tra la terra e il cosmo. Gli obiettivi che si propone l’agricoltura biodinamica possono essere sintetizzati nei seguenti tre punti.

1) Preservare la fertilità della terra

2) Mantenere le piante in buona salute per consentire loro di resistere alle malattie e ai parassiti

3) Aumentare la qualità degli alimenti prodotti

Per il raggiungimento di tali scopi, come già accennato, Steiner si è limitato a dare indicazioni di larga massima, mentre i fondamenti pratici su cui si basa oggi questa tecnica agricola sono stati individuati e sviluppati dai suoi seguaci.

Il metodo biodinamico punta a ricreare l’humus nel terreno aumentando la quantità di microrganismi presenti; in tale situazione la pianta è posta nelle migliori condizioni per esprimere le sue potenzialità produttive.

La salute dell’azienda agricola, infatti, si esprime nella vitalità del terreno e nel rigoglio della sua vegetazione (che viene interpretata come “terra rovesciata o estroflessa”), elementi dai quali dipendono il benessere degli animali allevati e la salute dell’uomo. Per questa ragione il metodo biodinamico non è solo un metodo di coltivazione che offre agli uomini alimenti sani e nutrienti, è soprattutto un dialogo costante con la Terra nei confronti della quale si avverte la responsabilità della sua custodia e un crescente senso di venerazione; è un movimento salutista con sfumature di idealismo che si traducono in metodi di semina, di raccolta e di coltivazione armonizzati a cicli lunari ed astrali. Per questa ragione l’agricoltura biodinamica nel tempo ha assunto una forma che la connota come una sorta di evoluzione e di “estremizzazione” dei metodi che attualmente vengono definiti come biologici.

Il biologico dagli anni 30 ad oggi

Negli anni ’30 e ’40 Hans Muller, insieme a sua moglie Maria, definì i criteri della organic- biological farming i quali furono divulgati dapprima in Svizzera e successivamente in tutti i paesi di lingua tedesca nei quali è diventata la pratica agricola biologica più diffusa, attualmente codificata negli standard BioLand e BioSuisse. I Muller, insieme al medico austriaco Hans Peter Rusch, svilupparono un test per la determinazione del livello di fertilità del suolo e nel 1946 fondarono l’associazione Co-Operative for Cultivation and Utilization e la rivista Culture and Politics. L’approccio dei Muller, in realtà, aveva anche un profondo accento sociale, politico ed economico in quanto, oltre a definire delle modalità di produzione agricola, propugnava l’autosufficienza dei contadini e delle fattorie e un più stretto contatto tra le fasi della di produzione e di consumo.

Verso la fine degli anni ’60 emerse un nuovo interesse per l’agricoltura biologica nato dall’aumento della consapevolezza ambientale e dal desiderio di produrre mezzi di sussistenza più in armonia con l’equilibrio naturale.

Come risultato di questo interesse venne fondata in Francia nel 1972 la Federazione Internazionale dei Movimenti di Agricoltura Biologica (IFOAM), una organizzazione che coordina la rete globale delle organizzazioni di agricoltura biologica. Questa ha sviluppato principi accettati a livello internazionale e gli standard di base per l’agricoltura biologica, che poi sono stati applicati localmente attraverso certificazioni nazionali o regionali e organizzazioni di controllo. Gli Standard base sono stati pubblicati per la prima volta nel 1980 e sono stati rivisti ogni 2-3 anni: essi precisano i criteri che devono essere soddisfatti dai certificatori accreditati e danno consigli per le organizzazioni nazionali che fissano le norme.

Proprio gli anni ’80 segnano la più accentuata industrializzazione dell’agricoltura della storia. I terreni, negli anni passati già nebulizzati da composti organici e DDT, sono travolti da dosi sempre maggiori di prodotti chimici, e si escogitano metodi di produzione ancor più “letali”. Forse per reazione, o forse solo per tradizione, nei paesi nordeuropei era già pressante la richiesta di prodotti agricoli coltivati con metodi più naturali. L’istituzione della CEE e l’adesione all’Europa dei paesi dell’area mediterranea a più spiccata vocazione agricola hanno aperto le porte del mercato europeo ai produttori biologici.

Il principio di zootecnia biologica è quello di condurre un allevamento che sia rispettoso dell’animale, dell’ambiente e del consumatore. Gli animali in azienda sono importanti perché:

- chiudono il ciclo ecologico dell’azienda;

- forniscono letame, ammendante per il terreno e principale fonte di sostanza organica nell'agricoltura biologica;

- producono latte, carne e loro derivati;

- richiedono aree a foraggio impedendo rotazioni troppo strette delle colture e favorendo la fertilità del terreno.

Un aspetto importante sancito dal Reg. 1804/99 e confermato dai decreti ministeriali attuativi è il criterio dei chilogrammi di azoto ad ettaro anno di provenienza animale. Fatto pari a 170 kg per ettaro, questo elemento condiziona il numero di animali allevabili secondo la categoria.

Un altro punto sancito dal regolamento riguarda il benessere degli animali (aspetto sempre più considerato dai consumatori) e il ricorso a razze storiche o migliorate, ma sempre ben adattate all'ambiente. Si sancisce l'obbligo del controllo di tutta la filiera attraverso un organismo certificante e per finire vengono lasciate delle finestre aperte, a carattere transitorio o definitivo, affinché siano possibili adattamenti locali o regionali. In caso di conversione da un allevamento commerciale ad un allevamento biologico è necessario attendere un certo periodo di tempo prima di poter dichiarare biologiche le produzioni.

Il Reg. 1804/99 è stato reso attuativo in ogni Paese membro da decreti ministeriali, come previsto in sede comunitaria. In Italia il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di concerto con il Ministero della Sanità, ha tracciato le linee guida all'applicazione del regolamento tramite il Decreto Ministeriale del 4/8/2000 seguito da un secondo decreto n. 182, pubblicato sulla G.U. il 7 agosto 2001.